Massimo Pietroselli: romanzi e antologie

mercoledì 12 marzo 2008

Greene, Hitchcock e il senso della realtà

Per un appassionato della lettura, non esiste luogo più promettente di una libreria dell'usato. Infatti, a causa della moderna abitudine di leggere tutti "a tempo", ovvero leggere tutti la stessa "novità" pubblicizzata dai media, i cataloghi si restringono e le liste dei libri in ristampa, come quelle elettorali, lasciano fuori nomi di prestigio (e sostanza).
Le librerie dell'usato offrono ai bei libri dimenticati un'opportunità di sopravvivenza per un ristretto numero di gourmet.
Graham Greene è uno dei miei scrittori favoriti: e il libro dimenticato dagli editori è "Vie di scampo", un'autobiografia letteraria che permette all'appassionato frequentatore di Greenelandia uno sguardo nel laboratorio e nei dubbi dello scrittore inglese.
Questo libro suggerirà certo spunti di riflessione al blog. Comincio con una gustosa contrapposizione di idee: Graham Greene (che è stato anche sceneggiatore e critico cinematografico) contro Alfred Hitchcock!
Ecco cosa pensa Greene dell'arte hitchcockiana:

L' "inadeguato senso della realtà" di Hitchcock mi irritava e continua a irritarmi... continuo a ritenere di aver avuto ragione (qualunque cosa possa dire Monsieur Truffaut) quando scrissi: " I suoi film consistono di una serie di piccole situazioni melodrammatiche "divertenti": il bottone dell'assassino che cade sul tavolo del baccarat; le mani dell'organista strozzato che protraggono note nella chiesa deserta... molto superficialmente egli arriva a tali complesse situazioni (senza prestare la benché minima attenzione, durante il cammino, alle incongruenze, alle situazioni non risolte, alle assurdità psicologiche) e poi le lascia cadere: non significano niente, non conducono a niente."

E' probabile che Greene si riferisse all'intervista che Truffaut fece a Hitch, divenuta un libro (giustamente) famoso e in cui i due registi esprimono giudizi sull'arte della narrazione (che sia cinematografica importa poco) e... sui critici.

AH: Siamo logici:se si vuole analizzare tutto e costruire tutto in termini di plausibilità e verosimiglianza, nessuna sceneggiatura che si basi sulla finzione resisterebbe a una simile analisi; a questo punto non resterebbe che una cosa da fare: dei documentari.Chiedere a uno che racconta delle storie di tener conto della verosimiglianza mi sembra tanto ridicolo come chiedere a un pittore figurativo di rappresentare le cose con esattezza. Qual è il limite della pittura figurativa? Non è la fotografia a colori? Non è d'accordo?
Un critico che mi parla di verosimiglianza è una persona senza immaginazione.
FT: Ricordi che, per definizione, i critici non hanno immaginazione e questo è normale. Un critico dotato di immaginazione non potrebbe più essere obiettivo. E proprio questa mancanza di immaginazione che li porta a preferire le opere più spoglie, più nude, perché danno loro la sensazione di poter quasi esserne gli autori. Per esempio un critico può ritenersi capace di scrivere la sceneggiatura di Ladri di Biciclette, ma non quella di Intrigo Internazionale e di conseguenza attribuisce ogni merito a Ladri di Biciclette e nessuno a Intrigo Internazionale.
AH:Girare un film, per me, significa innanzitutto raccontare una storia. Questa storia può essere inverosimile, ma non deve mai essere banale. Il dramma è una vita dalla quale sono stati eliminati i momenti noiosi.

A ognuno la sua opinione. Io sto con Hitch. Nonostante Greene sia uno dei miei scrittori favoriti.

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