Massimo Pietroselli: romanzi e antologie

giovedì 23 aprile 2009

L'arte (classica) di uccidere

John Dickson Carr (1906-1977) è notissimo agli amanti del giallo: forse è il più classico di tutti i giallisti classici. Maestro insuperato dei delitti della camera chiusa, aveva anche un certo gusto per la conferenza: tutti gli appassionati conoscono quella contenuta nel suo capolavoro Le Tre Bare, forse non tutti conoscono quella di cui vorrei parlare qui.
Ne L'arte di uccidere (The lost gallows, 1931), il narratore (Jeff Marle), scopre l'investigatore (il poliziotto francese Henri Bencolin) intento nella lettura di un romanzo giallo di tale J. J. Ackroyd, I delitti della casa sussurrante.
Sorpreso, Marle sbotta: - Con un assassinio autentico per le mani, tu te ne stai qui a leggere...
Questa considerazione dà a Bencolin (che qui è un semplice fantoccio per il ventriloquo John Dickson Carr) l'occasione per una conferenza sul romanzo giallo e il realismo, che costituisce un'ideale risposta al famoso saggio di Raymond Chandler sull'argomento. Ideale per il semplice fatto che il famoso saggio di Chandler sarebbe uscito diversi anni dopo il romanzo di Carr.
Marle aggiunge pure che "La verità è più bizzarra della..."
Apriti cielo!

- Per favore - insistette Bencolin - per favore, risparmiami queste monotone bugie! Stai citando l'unico paradosso che certa gente priva d'immaginazione sia mai riuscita a inventare. Senza contare che si tratta di una sfacciata menzogna. E' propaganda subdola, Jeff, messa in giro da anime morte che vogliono rendere la finzione noiosa come la realtà. Probabilmente, è l'unico antico proverbio che nessuno si sogna di mettere in dubbio tra lo scetticismo imperante; noi perciò abbiamo bisogno di un iconoclasta senza paura che temerariamente si ribelli a questa tirannia esecrabile, proclamando: "La finzione è più bizzarra della realtà." [..]
Pensa, Jeff: quanti danni ha provocato quell'errore così ciecamente ripetuto! [..]
Per chissà quale perversa distorsione della logica e della razionalità, noi non sopportiamo che il romanzo, basato com'è sulla finzione, segua il corso che gli è imposto dalle sue premesse. Facciamo uso del temuto termine "improbabile" per far paura agli scrittori e impedire loro di utilizzare con libertà la loro immaginazione. Però, naturalmente, la verità non potrà mai essere interessante quanto la finzione. Infatti, quando vogliamo fare il massimo complimento a una vicenda reale particolarmente affascinante, diciamo che è "emozionante quanto un romanzo."

Dopo aver stracciato le mode letterarie allora correnti, comprese le opere letterarie "vitali", "importanti" e "significative" i cui autori, per Bencolin, "si sforzano tutti di scrivere libri che somigliano a delle pessime traduzioni da un'altra lingua", il poliziotto torna al romanzo giallo che stava leggendo al momento dell'interruzione operata da Marle:

- Con le avventure che si svolgono nella casa sussurrante io non debbo temere delusioni. Si tratta di incubi per nulla circoscritti dalla stupida necessità di apparire probabili, e non pretendono di farci credere che siano realmente avvenuti. E l'investigatore non sbaglia mai, il che è proprio quel che mi aspetto da lui. Non riesco a capire perché mai uno scrittore si sforzi di fare del suo investigatore un essere umano e fallibile, paziente e faticatore, incline a sbagliare ma pronto a ricominciare da capo... uff! La ragione, probabilmente, sta nel fatto che i poveracci non hanno abbastanza fantasia da creare un personaggio davvero interessante, e così ci prendono a mazzate in testa con le pedestri avventure dei loro manovali del crimine...
- Santo cielo - sbottai io - quanto durerà ancora la predica?
- Oh, lasciami concludere. In breve: la vita reale manca del fascino, della drammaticità e soprattutto della linearità di svolgimento dei fatti che si trovano invece in questo romanzo. [..] Se il macellaio, il panettiere o il farmacista commettono un delitto, sta' certo che io li sbatterò dentro; ma, per favore, non chiedermi di trovarli anche interessanti.

Amen.