Massimo Pietroselli: romanzi e antologie

sabato 26 gennaio 2008

On Air

Durante l'ultima Lucca Comics & Games, io e Massimo Mongai abbiamo presentato i vincitori del Premio R.i.l.l. e cazzeggiato sulla fantascienza, sulla pallida motivazione del trentennale di Star Wars e altre ricorrenze concomitanti che non ricordo.

Successivamente, introdotti da Alberto Panicucci, uno dei "rillini" della prima ora, abbiamo riportato alcune di queste considerazioni ai microfoni della web-radio improntadigitale.org.

Se non avete niente di meglio da fare, andando qui e cercando, in fondo alla pagina, "Intervista ad Alberto Panicucci", potrete rivivere quegli emozionanti momenti...

sabato 19 gennaio 2008

Dame Agatha Christie o Miss Jenna Jameson?

Non si tratta di uno di quei sondaggi che imperversano sui nostri canali televisivi (di solito tramite esosi numeri a pagamento), bensì di una "provocazione" del buon vecchio Nabokov: il giallo è in fondo come la pornografia. Provocazione non è la parola esatta, poiché si vedrà subito che Nabokov pensa davvero quel che scrive. E forse, da un certo punto di vista, non ha tutti i torti: il giudizio spetta al paziente lettore di questo disordinato blog.
Lo scrittore, nella postfazione a "Lolita", si ritrova ovviamente a polemizzare con le accuse di pornografia e oscenità che hanno accompagnato l'uscita del romanzo. La sua obiezione è che "Oscenità" non ha e non può avere nulla a che fare con "Letteratura", per questo motivo:

L'oscenità deve accoppiarsi con la banalità, perché qualsiasi genere di godimento estetico dev'essere interamente sostituito dal semplice stimolo sessuale, il quale, per avere un'immediata efficacia sul paziente, esige la terminologia tradizionale. Per far sì che il suo paziente abbia le stesse garanzie di soddisfazione, il pornografo deve conformarsi a regole vecchie e rigide...

Fin qui, credo siamo tutti d'accordo: è un po' quello che sostiene anche Umberto Eco in un suo articolo in "Dalla periferia dell'impero". Ma ecco come continua Nabokov:

... proprio come nel caso, per esempio, degli appassionati di romanzi polizieschi - storie in cui, se non si sta attenti, può saltar fuori, con grande disappunto del lettore, che il vero assassino è l'originalità artistica (chi vorrebbe, per esempio, un poliziesco senza un solo dialogo?). Così, nei romanzi pornografici, l'azione deve limitarsi alla copula dei cliché. Lo stile, la struttura, le immagini non dovrebbero mai distrarre il lettore dalla sua tiepida lussuria. Il romanzo deve consistere in un'alternanza di scene sessuali. I passaggi tra l'una e l'altra scena devono ridursi a suture di significato, ponti logici dal disegno elementare, brevi esposizioni e spiegazioni...

Una cosa è certa: Nabokov non amava i gialli. Si potrebbe facilmente ribattere che, probabilmente per questo, ne ha letti pochissimi: altrimenti non si sarebbe espresso così.
Da un certo punto di vista, però, Nabokov non ha tutti i torti: se guardiamo alle celebri venti regole di Van Dine su come si scrive un buon giallo, ci troviamo di fronte a frasi del genere:

Un romanzo poliziesco non deve contenere descrizioni troppo diffuse, pezzi di bravura letteraria, analisi psicologiche troppo insistenti, presentazioni di "atmosfera": tutte cose che non hanno vitale importanza in un romanzo di indagine poliziesca. Esse rallentano l'azione, distraggono dallo scopo principale che é: porre un problema, analizzarlo, condurlo a una conclusione positiva. Si capisce che ci deve essere quel tanto di descrizione e di studio di carattere che é necessario per dar verosimiglianza alla narrazione...
Non ci deve essere una storia d'amore troppo interessante. Lo scopo é di condurre un criminale davanti alla Giustizia, non due innamorati all'altare.
Una storia poliziesca deve riflettere le esperienze quotidiane del lettore, costituisce una valvola di sicurezza delle sue stesse emozioni...

E' ovvio che queste raccomandazioni sono superate, spazzate via da scrittori come Hammett, Chandler, Simenon, Scerbanenco, Rendell e così via. E tuttavia, come non vedere che i cliché sono sempre in agguato (il noir ne ha inventati a bizzeffe!), che lo stile viene limitato necessariamente dal contenuto? Lo stile, la struttura e le immagini non devono distrarre il lettore di pornografia dalla lussuria; fino a che punto, invece, possono distrarre il lettore di polizieschi dalla scoperta del colpevole o dalla conclusione della caccia al serial killer?

venerdì 11 gennaio 2008

Letteratura e realtà (2)

Ho iniziato questo argomento qualche giorno fa, riportando una considerazione di Carlo Emilio Gadda.
Adesso lo riprendo, lasciando la parola a Vladimir Nabokov.
Per inciso, lo scrittore e insegnante di scrittura creativa John Gardner sosteneva, forse ispirandosi alla filosofia del celebre Tuco - Eli Wallach, che gli scrittori si dividono in due categorie: quelli che parlano di sé e quelli che parlano degli altri. Nella prima categoria, Gardner metteva Proust, Joyce e Nabokov. Ci avrebbe messo di certo anche Gadda, se lo avesse conosciuto. Riteneva che a costoro mancasse qualcosa che gli altri avevano. E' una sua idea. (Si potrebbe citare quell'altro celebre pensatore, l'ispettore Callaghan, a proposito delle opinioni che "sono come le palle: ognuno ha le sue", ma sorvolerò.)
A conclusione di "Lolita", Nabokov riporta alcune considerazioni sulle difficoltà della sua pubblicazione e sulle interpretazioni e critiche che fioccarono, nel suo inimitabile stile raffinato e sferzante assieme. Poche paginette dove si parla di molte cose.
Anzitutto, Nabokov si sbarazza della visione pedagogica della letteratura:

Ci sono anime miti che giudicherebbero "Lolita" insignificante perché non insegna loro nulla. Io non sono né un lettore né uno scrittore di letteratura didattica... Per me, un'opera di narrativa esiste solo se mi procura quella che chiamerò francamente voluttà estrema, cioè il senso di essere in contatto, in qualche modo, in qualche luogo, con altri strati dell'essere dove l'arte (curiosità, tenerezza, bontà, estasi) è la norma. Non ce ne sono molti, di libri così. Gli altri sono pattume d'attualità o ciò che alcuni chiamano la Letteratura delle Idee, la quale consta molto spesso di scempiaggini di circostanza che vengono amorosamente trasmesse di epoca in epoca in grandi blocchi di gesso finché qualcuno non dà una bella martellata a Balzac, a Gor'kij, a Mann.

(Capite perché ho scelto questa foto di Nabokov coi guanti da pugile?)

E' infantile studiare un'opera di narrativa per trarne informazioni su un paese o su una classe sociale. Eppure uno dei miei pochissimi amici intimi, dopo aver letto "Lolita", si preoccupò sinceramente che io (io!) dovessi vivere tra "gente così deprimente".

Queste considerazioni sfiorano il tema letteratura-realtà. Ma la seguente descrizione delle variazioni proposte da un editore al libro, centra in pieno la questione!

Un lettore disse che forse la sua casa editrice avrebbe preso in considerazione la pubblicazione del libro se avessi trasformato la mia Lolita in un ragazzino di dodici anni poi sedotto da Humbert, un agricoltore, in un granaio, il tutto ambientato in un paesaggio brullo e desolato ed espresso con frasi brevi, forti, "realistiche" («Quello dà fuori di matto. Come tutti quanti, sai. Anche Dio dà fuori di matto.»)... immagino che certi lettori trovino eccitante lo sfoggio di frasi murali di quei romanzi irrimediabilmente banali ed enormi, battuti a macchina con due dita da persone tese e mediocri, e definiti dai pennivendoli "vigorosi" e "incisivi".

Evidentemente, a quel tempo il "realismo" era un paesaggio brullo, ancestrale, alla Caldwell per intenderci, e le frasi murali brevi, forti e realistiche richiamano certi dialoghi di scrittori on the road. E' probabile che simili suggestioni oggi siano realistiche quanto il paesello di miss Jane Marple: anche la realtà è soggetta a mode.
Delle quali, Nabokov si fa allegramente beffe.

giovedì 10 gennaio 2008

La dura vita dello scrittore di gialli

Frédéric Charles Antoine Dard (1921 - 2000) è, con Georges Simenon, il compulsive writer per eccellenza. Qualche numero: Tra il 1940 ed il 2000 ha scritto 288 romanzi, 250 storie brevi e 20 rappresentazioni teatrali. Ha venduto 240 milioni di libri e gli sono state dedicate decine di tesi universitarie.
E' noto in tutto il mondo per le inchieste del Commissario Sanantonio, che anche da noi hanno conosciuto un vasto successo soprattutto negli anni '70, quando la Mondadori le spedì in edicola a riempire il vuoto lasciato dalla conclusione della saga di Maigret. Se non le avete mai lette, fatelo: si trovano facilmente sulle bancarelle dell'usato, a riprova di quante ne sono state vendute.
I romanzi di Sanantonio si basano su trame ricche di colpi di scena, spesso inverosimili, impepate di sesso e politicamente scorrettissime, come avrebbe forse potuto scriverle un Edgar Wallace convertito all'hard-boiled school; ma la loro vera peculiarità sta nella lingua pirotecnica, zeppa di neologismi (se ne contano 15.000), nelle metafore ardite, in digressioni filosofiche sulla vita l'universo e tutto quanto, e in citazioni-prese in giro che lasciano supporre un autore molto più colto del pubblico cui, almeno all'inizio, si rivolgeva. Insomma, uno Jacovitti del poliziesco, il tipico scrittore che i critici amano riscoprire dopo averlo ignorato per anni.
Scriveva il Paese Sera: "Dard colloca le avventure del suo commissario in un tessuto della più bella tradizione: il poliziesco d'azione con tutti gli elementi costitutivi ormai divenuti canonici... ma egli svuota questi elementi della loro serietà, ne rode la carica aggressiva, mette in discussione la loro posizione di fattori di un universo preordinato, in modo che la "realtà" della finzione cade ed il lettore è coinvolto in un procedimento "consapevolmente" fittizio, in un racconto gioco."
Orbene, in un romanzo dall'emblematico titolo: "La vita privata di Walter Klozett" (che tra l'altro costituisce un punto di svolta nella saga, perché qui il commissario rassegna le dimissioni dal servizio, come - prima di lui - un altro grande personaggio della letteratura di genere), il nostro Dard abbandona a se stesso lo sviluppo della storia per una delle sue digressioni: sulla dura vita dello scrittore di gialli. Sentiamolo.

La scocciatura, nel poliziesco, è che bisogna sempre spiegare tutto: il fatto, il come, il perché, tutto preciso, senza lasciar nulla nell'ombra, senza nulla omettere, sempre alla luce del sole dato che noialtri lavoriamo nel cartesiano. Dobbiamo essere ligi alla verità ed è inclusa nel nostro contratto. Ergastolani smarriti, eccoci a spaccare le parole come fossero pietre, a incasellare parole, a intrecciare frasi, panierai di sotto-sotto-sotto letteratura abietta, inquinante, depravante, cinica, volgare, pornografica, oscena, insomma commerciale. Siamo responsabili di quello che inventiamo. Ogni gag è un boomerang che ti becchi in un angolo della faccia se non fai rigorosamente attenzione, se non hai il giusto riflesso di schivare la fine della traiettoria. Lanciare è facile. Al momento di imbracciare qualsiasi tiratore gode del beneficio dell'ammirazione. E' incontestato all'inizio della sua azione. Nessuno lo mette in dubbio finché non ha premuto il grilletto. Ma se sbaglia il bersaglio, il suo credito va alla malora. Per noialtri fessi della penna, è la stessa cosa. Terribilmente uguale. Puoi inventargli qualsiasi cosa, al lettore. La più incredibile, la più suspensosa, lui la inghiotte, contento, un vero struzzo. Glaup! Sennonché, non credere che la digerisca. E' un ruminante, quel piffero. Piazza tutto su un calcolatore elettronico, ti aspetta al varco. Se sbagli, eccoti carbonizzato nella sua soffitta delle meningi là dove sciabordano le meschinerie universali. Mangiata viva la tua reputazione! Annullata come un assegno a vuoto!

Era o no un genio, il buon Dard? Dovrebbero metterlo all'ingresso delle scuole di scrittura creativa, questo pezzo.