Massimo Pietroselli: romanzi e antologie

mercoledì 18 giugno 2008

Le presentazioni dei libri

E' un fatto che, al giorno d'oggi, è prassi che i libri vengano presentati. Lo scrittore si è trasformato in un attore, e più è bravo più richiama l'attenzione sulla propria opera: la gente compra l'autore, più che il libro.
Ma non è sempre stato così.
Una volta non esistevano i generi letterari, almeno nulla di paragonabile alla scientifica segmentazione odierna.
Bè, una volta non esistevano nemmeno le presentazioni dei libri.
Leggendo "La vita di Sir Arthur Conan Doyle" di John Dickson Carr, ho appreso che il papà di Sherlock Holmes (il quale si seccava di essere imparentato a questo personaggio!), nel 1897 ebbe uno scontro con uno scrittore, Hall Caine, che aveva da poco pubblicato "Il cristiano", accompagnandone l'uscita con metodi di marketing moderno.
Scrisse subito una lettera vibrante (Doyle scriveva lettere dalla mattina alla sera), pubblicata sul Daily Chronicle. La riporto perché rappresenta un modo di pensare, di essere, di vivere oggi scomparso.

Allorché il signor Kipling scrive un poema come il suo "Cantico", non mette in piazza quel che pensa o che cosa lo abbia spinto a scriverlo. Allorché il signor Barrie ci dà un'opera bella come "Margaret Ogilvie", non c'imbattiamo in lunghe interviste e spiegazioni propagandistiche che ne preannunciano la pubblicazione. Basta la loro perfezione artistica a raccomandare poema e racconto al lettore provveduto, e sono le normali agenzie pubblicitarie a presentarne i meriti al grosso pubblico. Come uomo di lettere vorrei pregare il signor Hall Caine di adottare gli stessi metodi...
Il libro del signor Hall Caine non è ancora apparso (quando apparirà gli augurerò di cuore il miglior successo) ma ritengo indegno della nostra professione comune che non si possa prendere in mano un giornale o una rivista senza leggervi i commenti personali del signor Caine sul compito gigantesco e sull'opera colossale da lui testé portati a conclusione, con minuti particolari delle varie fasi e delle innumeri difficoltà da lui superate. Tocca ad altri dire queste cose, che diventano ridicoli e offensive quando siamo noi a esprimerle. Tutti i libri del signor Caine sono stati autostrombazzati allo stesso modo.
In tutte le professioni colte, si tratti di diritto, della medicina, dell'arte militare o della letteratura, esistono alcune leggi non scritte: un'etichetta di nobiltà che ci impegna tutti quanti, e in particolar modo i capi delle varie professioni. Quale effetto negativo potrà avere questo andazzo sugli scrittori giovani?


Già. Quale?

lunedì 9 giugno 2008

L'inconscio, il cuoco e lo scrittore

La domanda che tutti gli scrittori temono è: ma dove trovi le idee?
Isaac Asimov rispondeva che le idee sono così facili da trovare che si pagano un tanto la dozzina: ma il Buon Dottore era un caso particolare, come testimonia la sua sterminata produzione. E in realtà è vero che una storia si può trarre da qualunque spunto: il problema è piuttosto organizzare la narrazione, costruirla. Ed è altrettanto vero che questi "spunti" li abbiamo tutti, solo che lo scrittore è più pronto a individuarli, a dar retta alle spinte della fantasia, ad assecondarle.
D'altra parte, le idee non si trovano: ti vengono. E da dove? Ma dall'inconscio, che domande!
Piluccando tra le interviste e gli appunti degli scrittori, due analogie per l'attività creativa ricorrono curiosamente: il pozzo - la cantina (ovvero l'inconscio) e la cucina. Sì, la cucina.
Ecco per esempio Graham Greene parlare di una cantina che ospita un personaggio ai suoi servizi (da"Vie di scampo"):
L'inconscio collabora a tutte le nostre opere: è un nègre che teniamo in cantina affinché ci aiuti. Quando un ostacolo sembra insormontabile, leggo il lavoro fatto durante il giorno, prima di addormentarmi, e lascio che sia il nègre a faticare in mia vece. Quando mi sveglio, l'ostacolo è stato quasi sempre rimosso: ecco la soluzione, e ovvia per giunta... forse è venuta in un sogno che ho dimenticato.
Per far lavorare il nègre, Ernest Hemingway consigliava di stancarsi fisicamente, far ginnastica o l'amore: ma questo dipende, suppongo, dal suo vitalismo.
In "Festa Mobile", Hemingway parla di pozzo, invece che di cantina: ma la sostanza non cambia.
Avevo già imparato a non vuotare mai il pozzo della mia fantasia, ma a fermarmi sempre quando c'era ancora qualcosa, là in fondo, e a lasciare che tornasse a riempirsi durante la notte con l'acqua delle sorgenti che lo alimentavano.
Là in fondo, le sorgenti che lo alimentano durante la notte, il nègre in cantina: bellissime suggestioni sul mistero della creatività.

Quanto alla cucina, ecco cosa scriveva Robert Louis Stevenson a W. Craibe Angus:
Sono ancora un lentone, e covo a lungo in silenzio le mie uova. Pensiero inconscio, ecco l'unico sistema; macerate il soggetto, fatelo bollire lentamente, alzate il coperchio e guardate. Il piatto è pronto, buono o cattivo che sia.
"Bollire" come sinonimo di coltivare un'intuizione, un'idea? La pensa così anche Greene, che nell'introduzione a "I commedianti" scrive:
Una caratteristica fisica, un modo di esprimersi, un aneddoto... tutto ciò viene fatto bollire nella cucina del subcosciente e, nella maggior parte dei casi, emerge irriconoscibile anche per il cuoco.
Insomma, lo scrittore è un cuoco che ha scarso potere sulla riuscita del piatto?