Massimo Pietroselli: romanzi e antologie

venerdì 30 novembre 2007

Letteratura e "realtà" (1)

Questo è un problema grosso.

Che cosa ha a che fare la letteratura con la "realtà"? Dalla risposta che si dà alla domanda, discende la propria idea di romanzo, ovvero di quel che bisognerebbe aspettarsi da esso e/o a cosa dovremmo tendere, scrivendone uno.

Come primo spunto di riflessione, riporto una considerazione di Carlo Emilio Gadda, in risposta alle "assurdità" di alcuni lettori o recensori sulla presunta somiglianza di suoi personaggi a persone realmente esistenti (esistono infatti lettori/recensori che si dedicano a questo passatempo).


Quello che voi credete un ritratto è in realtà un terno al lotto. Io vagheggio con la fantasia una certa signora X, un "mio" personaggio: la vagheggio fino a sognarmela di notte: mi sveglio di soprassalto, mi levo dal letto in stato di trance, siedo al tavolo, scrivo: dopo mesi e mesi riprendo quel foglio, riscrivo, gratto, cancello, riscrivo: ricopio quaranta volte: lo dò all'editore. La signora X è venuta al mondo. Succede che a Brembate o a Garbagnate, c'è davvero una signora tale e quale come la signora X. Si tratta, come ognuno capisce, di un incidente combinatorio: che cade sotto il principio di inderterminazione assoluta o principio di Eisemberg. Come quando due giocatori, giocando ai dati, gli viene cinque e tre tutt'e due. Io, nel mio cervello, nella mia psiche ho creato: ho maturato lentamente la signora X mentre con eguale ponderatezza il Padre Eterno, a Garbagnate, ha maturato per suo conto un'altra signora, che tra tutt'e due, però, si somigliano come due gocce d'acqua. Ecco come sono andate le cose.


Insomma, il rapporto tra letteratura e "realtà" si configura come sincronicità junghiana.


Perché Spade si arrotola una sigaretta

Show dont' tell.
Quante volte l'avete letto? La formula magica per la bella scrittura. L'abracadabra del narratore volenteroso.
Non è mica così facile come sembra. Mostrare può essere più noioso che dire, se non si sa cosa mostrare.
Il "Falcone maltese" di Dashiell Hammett contiene alcune sequenze che evidenziano il concetto di “correlativo oggettivo”, ovvero il modo di suggerire nel lettore certi stati d’animo non ricorrendo direttamente alla loro descrizione “in soggettiva”, che spesso risulterebbe inefficace, ma attraverso una sequenza di scene “in oggettiva”. Dico sequenza perchè sono convinto che non sia la scena in sé che crea l’emozione, ma la sua sequenza descrittiva, il “montaggio”, per intenderci.
Nel secondo capitolo del libro, ad esempio, una telefonata sveglia Spade nel cuore della notte (la sveglia, poggiata su un angolo dei "Celebri casi criminali d’America" di Duke, segna le due e cinque), ed egli viene avvisato della morte del suo socio. Cosa fa Hammett? Non si impelaga in elaborate descrizioni dello stato d’animo di Spade, né ci obbliga a seguire i suoi pensieri con il solito discorso indiretto libero che simula il flusso di coscienza. Impone invece al lettore di seguire il detective nei suoi movimenti, ed indugia in particolare nella descrizione di un gesto che scopriremo essere caratteristico di Spade, l’avvolgimento di una sigaretta (con tabacco Bull Durham, tanto per la cronaca), in un paragrafo lungo ben quattordici righe. Un altro lungo paragrafo descrive invece la vestizione dell’eroe, e la scena viene infine tagliata su Spade che esce di casa.
Nessun pensiero dell’eroe, nessun sentimento viene mostrato esplicitamente.
E tuttavia, l’attenzione del lettore è calamitata proprio da quella sequenza di movimenti, che l'accuratezza della descrizione suggerisce siano importanti (altrimenti, non avrebbero meritato quella scrupolosità, e Hammett non era probabilmente pagato a parola). L’indugio rende attento il lettore.
Ricordate i gesti della ragazza che Monroe Starr descrive in quell’improvvisata lezione di cinema ne "Gli ultimi fuochi" di Fitzgerald? Assolvono la stessa funzione.
Scrivere, per Hammett, significa “far vedere al lettore con gli occhi della mente”, senza per questo svilire lo scrittore a puro descrittore di fatti. Le sensazioni possono trapelare, senza essere esplicitate, semplicemente citando il cupo muggito delle sirene da nebbia che una mezza dozzina di volte al minuto entra nella stanza solitaria dell’eroe. O l'arrotolarsi di una sigaretta, appena dopo aver saputo della morte di un socio. Non è come dire: Spade era pensieroso, oppure: Spade si accese una sigaretta meditabondo. L’arrotolarsi della sigaretta per Spade è come il fumo della pipa che invade la stanza di Holmes o l’esile braccio che si allunga verso la fiala di cocaina: il correlativo oggettivo di un’emozione.
Quello va mostrato. Ma bisogna saperlo trovare.

giovedì 29 novembre 2007

La gotta di Collins e il prurito di Marx


C'è gente che confonde l'opera con lo scrittore. E combina catastrofi.

Su Repubblica del 31 ottobre scorso, un articoletto ci informava che il professor Sam Shuster, dermatologo di un'Università il cui nome non voglio ricordare, ha esaminato la corrispondenza di Karl Marx, e ne ha cavato la convinzione che il filosofo soffrisse di idroadenite suppurativa, che si sostanzia in forte prurito e acne. "Oltre a ridurre la sua capacità di lavorare" dice il professore "probabilmente tale condizione ridusse la sua autostima, e ciò spiegherebbe il senso di alienazione che si riflette nelle sue opere." Buono a sapersi.

A questo punto, viene da chiedersi come abbia fatto il povero Cervantes a scrivere un romanzo divertente come il Don Chisciotte, avendo una sola mano (a onor del vero, non risulta che avesse da grattarsi). Ma soprattutto, visto che in questo blog si parla di letteratura di genere, come abbia fatto Wilkie Collins a scrivere la parte più sarcastica della sua "Pietra di Luna", intendo quella narrata in prima persona dalla bigotta signorina Clack, affetto da una gotta così feroce che nemmeno i segretari cui dettava potevano resistere nel sentire le sue urla. D'altra parte, Repubblica ha messo questo articolo sotto la voce Curiosità. Che comincia come Catastrofe. Ma anche come...

Cos'é la Busta di Manila?


Le buste di Manila sono comuni buste gialle, di varia grandezza. Perché siano chiamate così, non lo so (credo abbia a che fare con la polpa di una certa pianta, Manila appunto, con cui si fabbrica la carta). Ma so perché mi interessano.
Le buste di Manila sono una "dimora filosofale" (secondo Fulcanelli, una "dimora filosofale" è un supporto simbolico della verità ermetica. Per esempio, un reperto archeologico, un pezzo iconografico, un foglio di carta... dunque, anche una busta).
Le buste di Manila rappresentano per me il supporto simbolico della creazione letteraria; le usava Georges Simenon, ma non per spedire i suoi romanzi all'editore, bensì per scriverli. E poiché qui intendo occuparmi di note a margine del piacere e del lavoro di scrivere e leggere romanzi, soprattutto di genere, ecco spiegato perché la semplice busta di Manila diviene nome di un blog.
Quella che vedete qui accanto è la busta di Manila usata da Simenon come guida per il romanzo "I fratelli Rico".
Ed ecco cosa confida Simenon a Life, in edicola il 3 novembre del 1958, a proposito del suo modo di accostarsi a un nuovo romanzo:


L'inizio di un romanzo consiste in un personaggio, piuttosto che in un tema. Io so, per esempio, che questo personaggio ha soppresso la sua violenza. Io lo conosco. Io ho costruito il suo albero genealogico. Io conosco la personalità della nonna, del nonno, dei genitori. Per me, il suo stato civile è completo. Conosco le sue malattie e quelle della sua famiglia, anche se non userò certo tutti questi dettagli nella storia.
Quando i miei personaggi sono sviluppati, hanno bisogno di un indirizzo e un numero telefonico. Disegno l'appartamento in cui vivono, perché devo sapere se le porte si aprono a destra o a sinistra, se il sole entra da questa o quella finestra, se la camera da letto è rivolta a est o a ovest. Tutto ciò mi è necessario perché devo potermi muovere in quella casa come se ci fossi realmente.
L'inizio di una storia può essere un incidente d'auto, un attacco cardiaco, un'eredità. Qualcosa che cambia d'improvviso il corso della vita. L'avvenimento che scelgo è solo un pretesto per rivelare o dimostrare qualcosa che sta sotto... perché se abbiamo bisogno di un simile pretesto per cambiare la nostra vita, in realtà il desiderio del cambiamento risale a quando avevamo vent'anni, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di provarci. Così, l'incidente è, in effetti, un rivelatore: potrei dire un catalizzatore...


Ora, tutte queste minute informazioni sui personaggi, Simenon le appuntava proprio su buste di Manila. Sempre e solo su buste di Manila. Facevano parte del suo rituale, come le pipe ben cariche e allineate sulla scrivania, le matite perfettamente appuntite, il cartello d'albergo "Do Not Disturb" appeso fuori dalla porta, una sfera dorata da impugnare durante le pause di riflessione...
Quelle buste sono un mistero. Probabilmente, nessuno tranne Simenon avrebbe potuto trarre dalle indicazioni su quelle buste un romanzo. Certo, non hanno nulla a che vedere con la scrupolosa scaletta che Francis Scott Fitzgerald aveva predisposto per "Gli ultimi fuochi", e che ci consente di conoscere la fine di quel romanzo interrotto dalla morte dello scrittore.
Il mistero della creazione letteraria, per l'appunto.