Questo è un problema grosso.
Che cosa ha a che fare la letteratura con la "realtà"? Dalla risposta che si dà alla domanda, discende la propria idea di romanzo, ovvero di quel che bisognerebbe aspettarsi da esso e/o a cosa dovremmo tendere, scrivendone uno.
Come primo spunto di riflessione, riporto una considerazione di Carlo Emilio Gadda, in risposta alle "assurdità" di alcuni lettori o recensori sulla presunta somiglianza di suoi personaggi a persone realmente esistenti (esistono infatti lettori/recensori che si dedicano a questo passatempo).
Quello che voi credete un ritratto è in realtà un terno al lotto. Io vagheggio con la fantasia una certa signora X, un "mio" personaggio: la vagheggio fino a sognarmela di notte: mi sveglio di soprassalto, mi levo dal letto in stato di trance, siedo al tavolo, scrivo: dopo mesi e mesi riprendo quel foglio, riscrivo, gratto, cancello, riscrivo: ricopio quaranta volte: lo dò all'editore. La signora X è venuta al mondo. Succede che a Brembate o a Garbagnate, c'è davvero una signora tale e quale come la signora X. Si tratta, come ognuno capisce, di un incidente combinatorio: che cade sotto il principio di inderterminazione assoluta o principio di Eisemberg. Come quando due giocatori, giocando ai dati, gli viene cinque e tre tutt'e due. Io, nel mio cervello, nella mia psiche ho creato: ho maturato lentamente la signora X mentre con eguale ponderatezza il Padre Eterno, a Garbagnate, ha maturato per suo conto un'altra signora, che tra tutt'e due, però, si somigliano come due gocce d'acqua. Ecco come sono andate le cose.
Insomma, il rapporto tra letteratura e "realtà" si configura come sincronicità junghiana.
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