Massimo Pietroselli: romanzi e antologie

giovedì 15 luglio 2010

Urinare parole

Già ho postato una citazione sul mestiere di scrivere dell'inventore dell'Hard-Boiled, Samuel Dashiell Hammett.
Continuando a leggere Tulip, un romanzo incompiuto di "Dash" che ha per protagonista uno scrittore (l'opera è scopertamente autobiografica), mi sono imbattuto in questo brano, sulle motivazioni dello scrittore. Gertrude Stein diceva di scrivere "per me, e per tutti quelli che non mi conoscono." Quanto a Hammett:

Se scrivi vuoi fama, fortuna e soddisfazioni personali. Vuoi scrivere quello che ti va di scrivere e che senti che vale qualcosa, venderne milioni di copie e ottenere che tutti quelli di cui stimi l'opinione lo trovino buono. E, ancora, vuoi che tutto questo duri secoli. E' probabile che non ci arrivi mai, è probabile che non t'arrendi o che t'ammazzi se t'arrendi, ma questa è e deve essere la tua meta. Se no, urini parole e basta.

sabato 10 luglio 2010

Dove trovi le idee?

In uno dei tanti, meravigliosi dialoghi di Dashiell Hammett, uno scrittore apostrofa così un amico che vuol propinargli un'idea per una storia (Tulip, in L'istinto della Caccia, vedi cover):

Grandio, chi mai ti ha messo in testa che gli scrittori vadano a caccia di argomenti per i loro libri? Il problema, semmai, è come riordinare il materiale, non dove trovarlo. Quasi tutti gli scrittori che conosco sono sepolti sotto cumuli di roba che non sfrutteranno mai.

giovedì 28 maggio 2009

La Trappola di Sharkskin

Dan Simmons è un autore molto popolare di letteratura di genere. Fantascienza, hard-boiled, horror... ha frequentato ogni genere, dotato di grande creatività e un passo da maratoneta che gli fa produrre libri sempre interessanti e voluminosi.
Nel suo sito, parla anche di scrittura creativa. E dice una cosa, prendendo spunto da un'affermazione dello scrittore John Gardner.
Gardner dice che nella letteratura hard-boiled capita spesso che il protagonista, che parla in prima persona (e incidentalmente fa notare che luogo comune dell'hard-boiled sia, questo della prima persona), descriva due tipi che entrano in una stanza, e uno dei due porta un vestito di pelle di squalo (sharkskin). Un altro paio di frasi, e questo tipo sarà chiamato Sharkskin. Nient'altro. Poi, il protagonista lo farà ovviamente secco: e tutto quel che sapremo di questo tipo è che aveva un vestito di pelle di squalo.
E' la Trappola di Sharkskin.
Bene, dice allora Simmons, questo è il problema della letteratura. Noi scrittori siamo dei maledetti pigri figli di puttana, dice, altrimenti avremmo un lavoro serio, e così, non appena troviamo una scorciatoia, la imbocchiamo di corsa e non torniamo più indietro.
Questo è ciò che distingue un bravo scrittore da un mediocre scrittore: se cade o meno nella Trappola di Sharkskin.

giovedì 23 aprile 2009

L'arte (classica) di uccidere

John Dickson Carr (1906-1977) è notissimo agli amanti del giallo: forse è il più classico di tutti i giallisti classici. Maestro insuperato dei delitti della camera chiusa, aveva anche un certo gusto per la conferenza: tutti gli appassionati conoscono quella contenuta nel suo capolavoro Le Tre Bare, forse non tutti conoscono quella di cui vorrei parlare qui.
Ne L'arte di uccidere (The lost gallows, 1931), il narratore (Jeff Marle), scopre l'investigatore (il poliziotto francese Henri Bencolin) intento nella lettura di un romanzo giallo di tale J. J. Ackroyd, I delitti della casa sussurrante.
Sorpreso, Marle sbotta: - Con un assassinio autentico per le mani, tu te ne stai qui a leggere...
Questa considerazione dà a Bencolin (che qui è un semplice fantoccio per il ventriloquo John Dickson Carr) l'occasione per una conferenza sul romanzo giallo e il realismo, che costituisce un'ideale risposta al famoso saggio di Raymond Chandler sull'argomento. Ideale per il semplice fatto che il famoso saggio di Chandler sarebbe uscito diversi anni dopo il romanzo di Carr.
Marle aggiunge pure che "La verità è più bizzarra della..."
Apriti cielo!

- Per favore - insistette Bencolin - per favore, risparmiami queste monotone bugie! Stai citando l'unico paradosso che certa gente priva d'immaginazione sia mai riuscita a inventare. Senza contare che si tratta di una sfacciata menzogna. E' propaganda subdola, Jeff, messa in giro da anime morte che vogliono rendere la finzione noiosa come la realtà. Probabilmente, è l'unico antico proverbio che nessuno si sogna di mettere in dubbio tra lo scetticismo imperante; noi perciò abbiamo bisogno di un iconoclasta senza paura che temerariamente si ribelli a questa tirannia esecrabile, proclamando: "La finzione è più bizzarra della realtà." [..]
Pensa, Jeff: quanti danni ha provocato quell'errore così ciecamente ripetuto! [..]
Per chissà quale perversa distorsione della logica e della razionalità, noi non sopportiamo che il romanzo, basato com'è sulla finzione, segua il corso che gli è imposto dalle sue premesse. Facciamo uso del temuto termine "improbabile" per far paura agli scrittori e impedire loro di utilizzare con libertà la loro immaginazione. Però, naturalmente, la verità non potrà mai essere interessante quanto la finzione. Infatti, quando vogliamo fare il massimo complimento a una vicenda reale particolarmente affascinante, diciamo che è "emozionante quanto un romanzo."

Dopo aver stracciato le mode letterarie allora correnti, comprese le opere letterarie "vitali", "importanti" e "significative" i cui autori, per Bencolin, "si sforzano tutti di scrivere libri che somigliano a delle pessime traduzioni da un'altra lingua", il poliziotto torna al romanzo giallo che stava leggendo al momento dell'interruzione operata da Marle:

- Con le avventure che si svolgono nella casa sussurrante io non debbo temere delusioni. Si tratta di incubi per nulla circoscritti dalla stupida necessità di apparire probabili, e non pretendono di farci credere che siano realmente avvenuti. E l'investigatore non sbaglia mai, il che è proprio quel che mi aspetto da lui. Non riesco a capire perché mai uno scrittore si sforzi di fare del suo investigatore un essere umano e fallibile, paziente e faticatore, incline a sbagliare ma pronto a ricominciare da capo... uff! La ragione, probabilmente, sta nel fatto che i poveracci non hanno abbastanza fantasia da creare un personaggio davvero interessante, e così ci prendono a mazzate in testa con le pedestri avventure dei loro manovali del crimine...
- Santo cielo - sbottai io - quanto durerà ancora la predica?
- Oh, lasciami concludere. In breve: la vita reale manca del fascino, della drammaticità e soprattutto della linearità di svolgimento dei fatti che si trovano invece in questo romanzo. [..] Se il macellaio, il panettiere o il farmacista commettono un delitto, sta' certo che io li sbatterò dentro; ma, per favore, non chiedermi di trovarli anche interessanti.

Amen.

venerdì 27 marzo 2009

Tre Quark per Mr. Mark

Ovvero, tre autori dicono la loro, in qualche modo, sull'arte della narrazione e i suoi pericoli.
(articolo breve, a causa di alcuni impegni che mi impediscono di aggiornare il blog come vorrei, ma spero sapido.)
Sulla revisione
A proposito di una giornata di lavoro particolarmente produttiva, Oscar Wilde così si espresse: "Ho aggiunto una virgola." Subito gli chiesero cosa avesse mai prodotto nel pomeriggio, dopo una mattinata così intensa, e Wilde, pronto: "L'ho tolta."
Sul piacere di scrivere
Billy Wilder, il famoso sceneggiatore e regista hollywoodiano dal cinico aforisma, sentenziò: "Mostratemi qualcuno che ami scrivere e io vi mostrerò un cattivo scrittore. Ciò non significa, ovviamente, che chiunque non ami scrivere sia un bravo scrittore."
Coincidenze e convenienze
Nel catechizzare i suoi sceneggiatori, Alfred Hitchcock faceva una distinzione tra la coincidenza e la convenienza nella costruzione di una trama. Lo spettatore può accettare una coincidenza, poiché nella vita le coincidenze capitano; ma non può accettare che questa coincidenza sia conveniente alla narrazione, o meglio ancora sia conveniente per il narratore, visto che ciò manifesta pigrizia.

giovedì 30 ottobre 2008

L'arte della creatività

Si può insegnare ad essere creativi?
Si può sviluppare la propria creatività?
Esiste, insomma, un'Arte della Creatività come esiste un'Arte della Memoria? Oppure è per definizione impossibile, come impossibile è l'Arte del Dimenticare (o Ars Oblivionalis)?
Nel numero di giugno-luglio scorso, su "Scientific American Mind" è apparso un confronto tra esperti sull'argomento, dal titolo "Let Your Creativity Soar". Emerge che la creatività, come l'intelligenza, non è caratteristica di particolari individui, ma di tutti: semmai, c'è chi ne ha di più e chi di meno, e questo dipende dallo sviluppo individuale piuttosto che da una fortunata combinazione genetica. Il che significa che alla terribile domanda: "Ma dove prendete le idee?" si può rispondere: "Dove le prendono tutti!"
In particolare, tutti i bambini sono creativi: inventano giochi, imparano ben presto a dire bugie, disegnano, sviluppano personalissime paure al buio della propria cameretta... poi vanno a scuola. E pian piano imparano a stare seduti, a seguire l'insegnante senza perdersi in sogni a occhi aperti e a non fare domande sciocche. Socializzazione, insomma. Così, va a finire (dicono gli esperti) che la creatività viene lasciata agli spostati, a quelli che non socializzano, agli individualisti.
Ma non preoccupatevi, bambini inariditi: potete recuperare questa qualità, se solo lo volete. E prima di tutto, potete scoprire quanto siete creativi con un test, il Test di Epstein che, se conoscete l'inglese, potete svolgere qui.
Ecco quattro tecniche presentate nel corso dell'articolo.
La prima è Catturare: cogliere al volo le idee quando si propongono alla nostra attenzione e conservarle, senza giudicare la loro bontà. Questo dettaglio è molto importante: se cominciamo a sottoporre a critica un'idea appena abbozzata, in un certo senso ne compromettiamo la generazione. L'auto-censura distrugge il processo creativo.
La seconda è Sfidarsi: poniamoci dei problemi, delle domande.
La terza è Ampliare: maggiori sono le nostre conoscenze, maggiori sono le possibili interconnessioni. Imparare cose nuove aiuta a far emergere nuove idee, nuovi spunti.
La quarta, direttamente connessa alla precedente, è Sviluppare il proprio ambiente: non frequentiamo sempre le stesse persone, gli stessi posti. Apriamoci al mondo. Conosciamo altri modi di vivere, altre culture, altra cucina, altri paesi.
E infine, camminiamo. Pare che facendo quattro passi il cervello cominci a integrare le diverse intuizioni, frammenti di idee e sensazioni ricevuti utilizzando le quattro tecniche di cui sopra.
Oppure facciamo un bel bagno: ad Archimede ha portato una buona intuizione. E Agatha Christie congegnava i suoi delitti di carta a mollo nella vasca, mangiando mele.Se non saremo più creativi, almeno saremo profumati e faremo a meno del medico.

venerdì 5 settembre 2008

L'atto simultaneo dell'immaginazione

William Somerset Maugham (1874-1965) è stato autore di grande successo. Il suo periodo d'oro furono gli anni '30-'40 del secolo scorso, ma ancora oggi i suoi romanzi vengono ristampati (in Italia, da Adelphi), e recentemente da "Il velo dipinto" è stata tratta una nuova riduzione cinematografica, dopo quella con Greta Garbo nei panni della moglie adultera.
La sua è una prosa da narratore di razza, di quelli che avendo visto il mondo e conosciuto l'umanità in situazioni estreme non perdono tempo a raccontare del proprio ombelico; a volte arricchita da humour inglese; spesso da un certo cinismo nel commentare le miserie umane; sempre da un certo distacco, lo stesso distacco del pittore che si allontana dal quadro che sta dipingendo per studiarlo nella giusta prospettiva. I suoi occasionali aforismi a commento di certe situazioni, che sembrano trinciati dalla poltrona di un club per soli uomini, lasciano supporre che si infischiasse della teoria del narratore nascosto. D'altronde, come ebbe a scrivere:

Ogni convenzione ha i suoi svantaggi. Che bisogna mascherare il più possibile - e quando mascherarli non si può, tanto vale ammetterli apertamente.

Spesso, Maugham introduce i suoi romanzi con un tono colloquiale e fascinoso che mescola riferimenti al testo, ricordi personali e considerazioni sulla vita e la letteratura. Ad esempio, scopriamo nella prefazione a "Il velo dipinto" che la trama del romanzo gli è stata suggerita, anni prima, dalla lettura dei versi di Dante su Pia de' Tolomei. Da qui, Maugham passa a ricordare i suoi giovanili giorni trascorsi a Firenze, la sua affittuaria, il gusto del Chianti, le circostanze in cui venne a conoscenza di quei versi e come e perché solo parecchi anni dopo quell'idea si fosse trasformata in romanzo. Dopo di che, riflette come tra sé che quello è stato il solo caso in cui una trama gli è stata suggerita da un intreccio piuttosto che da un personaggio. E qui arriviamo al punto.
Uno degli argomenti più gettonati nelle scuole e nei manuali di scrittura creativa è questo: viene prima il personaggio o la storia? (come se la fantasia dovesse procedere come i sillogismi di Aristotele, dalle premesse alla conclusione...) Come al solito, in questo caotico blog ci si limita a proporre quel che ha dire sull'argomento questo o quello scrittore professionista. E sentire Maugham è sempre interessante, tanto che presto verrà riutilizzato (la sua prefazione a "Ashenden" è molto stimolante!).

Spiegare la relazione tra intreccio e personaggio è difficile. Certo non si può pensare a un personaggio nel vuoto; appena lo pensi, lo pensi in qualche situazione, occupato a fare qualcosa, sicché il personaggio e almeno le linee principali del suo agire sembrano essere il risultato di un atto simultaneo dell'immaginazione.

In rete è disponibile un articolo di Maugham molto interessante, "Come scrivo i racconti". Qui si sofferma sui personaggi, il che mi sembra faccia pendant con ciò che si diceva sopra:

Com'è noto, molti di noi sostengono che quando creano un personaggio non pensano mai a un modello in carne e ossa. Secondo me si sbagliano. Non analizzano con sufficiente scrupolo i ricordi e le impressioni a partire dai quali hanno costruito le figure che amano immaginare di essersi inventate. Se lo facessero scoprirebbero che immancabilmente questo o quel personaggio - sempre che non sia, come spesso accade, preso da un altro libro - è stato ricalcato su una o più persone da loro viste o conosciute. Del resto, i grandi scrittori del passato non hanno mai nascosto che i loro fossero ritratti dal vero...
Se quello che si cerca è un personaggio credibile, con una sua individualità, la cosa migliore è avere un modello cui ispirarsi. Dal nulla, l'immaginazione non crea nulla. Le serve il pungolo di una sensazione. Se la nostra fantasia è stata colpita da una caratteristica particolare (magari solo per noi) di qualcuno, ma poi quel qualcuno lo descriviamo in un modo completamente diverso, finiamo per falsificare tutto. I personaggi hanno una loro coerenza, e se si cerca di alterarla - ad esempio trasformando un tappo in uno spilungone (come se la statura non avesse una sua influenza sul carattere), o un tipo fisicamente fatto per essere flemmatico in un iracondo - si distrugge quella che Baltasar Gracián, con un'espressione meravigliosa, chiamerebbe la sua plausibile armonia.