Massimo Pietroselli: romanzi e antologie

venerdì 30 novembre 2007

Perché Spade si arrotola una sigaretta

Show dont' tell.
Quante volte l'avete letto? La formula magica per la bella scrittura. L'abracadabra del narratore volenteroso.
Non è mica così facile come sembra. Mostrare può essere più noioso che dire, se non si sa cosa mostrare.
Il "Falcone maltese" di Dashiell Hammett contiene alcune sequenze che evidenziano il concetto di “correlativo oggettivo”, ovvero il modo di suggerire nel lettore certi stati d’animo non ricorrendo direttamente alla loro descrizione “in soggettiva”, che spesso risulterebbe inefficace, ma attraverso una sequenza di scene “in oggettiva”. Dico sequenza perchè sono convinto che non sia la scena in sé che crea l’emozione, ma la sua sequenza descrittiva, il “montaggio”, per intenderci.
Nel secondo capitolo del libro, ad esempio, una telefonata sveglia Spade nel cuore della notte (la sveglia, poggiata su un angolo dei "Celebri casi criminali d’America" di Duke, segna le due e cinque), ed egli viene avvisato della morte del suo socio. Cosa fa Hammett? Non si impelaga in elaborate descrizioni dello stato d’animo di Spade, né ci obbliga a seguire i suoi pensieri con il solito discorso indiretto libero che simula il flusso di coscienza. Impone invece al lettore di seguire il detective nei suoi movimenti, ed indugia in particolare nella descrizione di un gesto che scopriremo essere caratteristico di Spade, l’avvolgimento di una sigaretta (con tabacco Bull Durham, tanto per la cronaca), in un paragrafo lungo ben quattordici righe. Un altro lungo paragrafo descrive invece la vestizione dell’eroe, e la scena viene infine tagliata su Spade che esce di casa.
Nessun pensiero dell’eroe, nessun sentimento viene mostrato esplicitamente.
E tuttavia, l’attenzione del lettore è calamitata proprio da quella sequenza di movimenti, che l'accuratezza della descrizione suggerisce siano importanti (altrimenti, non avrebbero meritato quella scrupolosità, e Hammett non era probabilmente pagato a parola). L’indugio rende attento il lettore.
Ricordate i gesti della ragazza che Monroe Starr descrive in quell’improvvisata lezione di cinema ne "Gli ultimi fuochi" di Fitzgerald? Assolvono la stessa funzione.
Scrivere, per Hammett, significa “far vedere al lettore con gli occhi della mente”, senza per questo svilire lo scrittore a puro descrittore di fatti. Le sensazioni possono trapelare, senza essere esplicitate, semplicemente citando il cupo muggito delle sirene da nebbia che una mezza dozzina di volte al minuto entra nella stanza solitaria dell’eroe. O l'arrotolarsi di una sigaretta, appena dopo aver saputo della morte di un socio. Non è come dire: Spade era pensieroso, oppure: Spade si accese una sigaretta meditabondo. L’arrotolarsi della sigaretta per Spade è come il fumo della pipa che invade la stanza di Holmes o l’esile braccio che si allunga verso la fiala di cocaina: il correlativo oggettivo di un’emozione.
Quello va mostrato. Ma bisogna saperlo trovare.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Vero e ben detto. Però. Però l'uso del correlativo oggettivo -filiazione se vuoi di vecchie istanze zoliane- alla fine non è a sua volta che un artificio retorico. Una figura del pensiero, un'ipotiposi avrebbero detto i vecchi pedanti, specchio e contraltare di quell'altra,la parafrasi interpretativa, che poi arriva allo "Spade si accese una sigaretta meditabondo". Probabilmente Proust avrebbe scritto al riguardo quattro o cinque pagine, sviscerando le reazioni emotive di Spade fino all'ultima fibra. E trasmettendocele con tanta esattezza da portarci in ultimo quasi ad essere Spade noi stessi. Chi ha ragione? La scrittura è arte del levare o dell'aggiungere?

Pippo ha detto...

Ah, caro Giulio, you are right. Artificio, certamente: che altro? Cosa c'è di più intrigante dell'artificio? Forse il correlativo consente di mascherare maggiormente il narratore, rispetto alla parafrasi interpretativa: e questo si accorda con le tendenze moderne. (Che poi il narratore c'è sempre ed è sempre onnipotente, è altro discorso). Né levare né aggiungere, ma mascherare, illudere. E poi Proust amava molto un periodo di Flaubert, il quale descrive la Bovary accanto a un caminetto spento, pensierosa, che si stringe tra le braccia: e commenta dicendo che apprezzava molto il fatto che non avesse scritto: "Ella aveva freddo".